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Facebook e Twitter, i giganti social in caduta libera sui mercati, hanno trovato un capro espiatorio in comune per le ultime battute di arresto: l’Unione europea. Entrambe le aziende hanno accusato il Gdpr (il regolamento europeo sulla gestione dei dati al debutto lo 25 maggio) di aver contribuito a rallentare la crescita degli utenti, provocando i capitomboli borsistici registrati fra ieri e oggi a Wall Street.

Facebook ha ceduto oltre 120 miliardi di capitalizzazione, dopo che i dati del secondo trimestre 2018 hanno evidenziato ricavi sotto alle attese (“solo” 13,2 miliardi di euro) e, soprattutto, un calo un milione di utenti unici mensili in Europa. Le azioni di Twitter stanno sprofondando a -20% a New York in risposta a una perdita analoga di utenti in valore assoluti (un milione) nello scorso trimestre, da 336 a 335 milioni. E ha già anticipato che la discesa andrà avanti nei prossimi trimestri, abbassandosi anche a 330 milioni.

Cosa c’entra la Ue con la “crisi” dei social
In realtà i numeri esibiti da entrambe le aziende allontanerebbero qualsiasi spettro di crisi dalle imprese «normali». Facebook ha chiuso l’ultimo trimestre con fatturato in rialzo del 42% e utili oltre i 5 miliardi, Twitter ha messo a segno ricavi per 711 milioni di dollari (+24% rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso) e riesce a mantenere il suo business redditizio, dopo anni di attesa prima di centrare il break even (una misura che indica quando una società raggiunge il pareggio). Il problema è che il modello stesso dei social network si regge sull’incremento di utenti, la materia prima che alimenta la vendita di inserzioni pubblicitarie e quindi i guadagni del gruppo. Meno iscritti significano meno valore agli occhi degli inserzionisti, soprattutto se il calo di utenti non sembra destinato ad arrestarsi con un trimestre al di sotto delle attese.

Entrambi i gruppi hanno imputato parte del rallentamento al Gdpr, il regolamento Ue sulla protezione dei dati che impone alle aziende – fra le altre cose – di richiedere in maniera esplicita il consenso per l’utilizzo di informazioni degli utenti. Una stretta che mette fuori gioco diverse applicazioni già utilizzate dalle piattaforme social, oltre a limitare il grado di pervasività che può essere raggiunto rispetto ai milioni (nel caso di Facebook, miliardi) di iscritti e al loro patrimonio di informazioni. Il regolamento è divenuto applicabile il 25 maggio, coprendo così solo una parte del trimestre “incriminato”. A quanto pare, però, è bastato a farsi sentire.

Nella conference call con gli analisti, i manager di Facebook hanno ammesso che il Gdpr «non era completamente dispiegato» sul trimestre, salvo aggiungere che le sofferenze sul mercato europeo sono dipese in prevalenza dalle nuove leggi. «In Europa abbiamo visto il declino che avevamo anticipato con il Gdpr – ha detto David Wehner, il chief financial officer di Facebook – E direi che quell’impatto era davvero dovuto al Gdpr, non a trend di engagement (in gergo, “l’ingaggio” di nuovi utenti sulla piattaforma, ndr)». Twitter ha a sua volta chiamato in causa il debutto del Gdpr fra i motivi del calo di utenti, anche se «in misura minore» rispetto ad altri fattori.

Le repliche da Bruxelles non si sono fatte attendere. Alcuni europarlamentari citati da Bloomberg hanno fatto notare che il Gdpr è entrato in gioco dopo scandali di grossa portata, a partire dal datagate di Facebook. Quindi, tra le righe, le cause della disaffezione vanno cercate più nei comportamenti delle aziende e meno nelle novità del regolamento, dall’obbligo di richieste di consenso più trasparenti alla possibilità di trasferire i dati da una piattaforma all’altra senza limitazioni. «Si lamentano delle regole? Stanno ammettendo che, prima, non seguivano alcuna regola – dice Silvia Costa, eurodeputata S&D – Io mi domanderei più se non sia incrinato il rapporto fiduciario con gli utenti. In fondo il Gdpr ha solo ampliato le garanzie di consenso per i cittadini». Le critiche, però, arrivano anche dal mercato domestico. «I cambiamenti legislativi fanno parte del gioco per qualsiasi provider di social network. Se Facebook tira in ballo il Gdpr come scusa per il declino di utenti… Beh, è una scusa» dice al Sole 24 Ore Holger Mueller, analista di Constellation Research, una società di ricerca di casa nella stessa Silicon Valley di Facebook.

Curiosamente, il regolamento era stato accusato anche del problema opposto: aver favorito il duopolio nelle entrate pubblicitarie della stessa Facebook e di Alphabet, la holding che controlla Google. In questo caso, la tesi è che i 99 articoli del regolamento siano “abbordabili” solo dalle multinazionali attrezzate con un’equipe imponente di legali e una cassa sufficiente a coprire le eventuali sanzioni, ma del tutto fuori portata per startup e imprese di media dimensione. L’amministratore delegato di Alphabet, Sundar Pichai, ha detto che è «presto» per valutare l’impatto del Gdpr sui suoi conti. Google è reduce da una sanzione di 4,3 miliardi di euro per abuso di posizione dominante esercitato attraverso Android, il suo sistema operativo mobile, ma deve ancora registrare in bilancio qualche effetto collaterale del Gdpr. In negativo o, a quanto pare, in positivo.

 

Fonte: ilSole24Ore

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