Sono ancora troppo poche le aziende in tutto il mondo che sono in grado di sfruttare il potenziale tecnologico ed economico dell’intelligenza artificiale (artificial intelligence – AI). Per l’esattezza, solamente una su cinque ha già utilizzato tale tecnologia e meno di quattro su dieci attiverà strategie interne di introduzione dell’AI.
Diverso il caso delle imprese più grandi (con oltre 100 mila dipendenti), dove la percentuale sale a quasi il 50%
È quanto emerge dal nuovo Report “Reshaping business with artificial intelligence” di Boston Consulting Group e Mit Sloan Management Review, un’indagine sull’intelligenza artificiale in azienda che ha coinvolto oltre 3000 executive, manager ed esperti di 21 aree produttive e provenienti da 112 Paesi.
Nonostante il limitato utilizzo dell’AI, più di tre quarti degli intervistati credono che nei prossimi anni tale tecnologia sarà fondamentale per la crescita economica e la competitività.
Altro capitolo centrale della survey è quello dedicato all’occupazione, al rapporto facile/difficile tra macchine e lavoratori.
La disoccupazione tecnologica è un fantasma che da qualche anno è tornato ad infestare i luoghi di lavoro. Un mito da sfatare, secondo i manager intervistati da BCG: per l’80% degli executive l’introduzione dell’AI consentirà di aumentare le competenze dei lavoratori stessi, solo il 31% ha evidenziato la probabile minaccia di una perdita di mansioni.
Un 47% invece si aspetta anche una perdita di forza lavoro legata proprio all’automazione industriale.
Le imprese che investono in intelligenza artificiale (o che lo faranno presto) sono il 19%, mentre un 36% circa si dice in attesa o comunque rimane passivo, cioè non ha attivato nessuna strategia e probabilmente non ha neanche capito l’importanza della tecnologica in questione.
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