L’Estonia è un Paese all’avanguardia nelle sperimentazioni telematiche. Nel 2007 furono i primi a provare il voto on-line. Ora è uno dei Paesi più attivi sul fronte delle start-up, specie se si considerano le sue minuscole dimensioni. La ricetta del successo è composta da formazione, tassazione e attitudini culturali. Fonte: www.linkiesta.it
Quando i soprannomi calzano a pennello. In riva al Baltico fioccano le start-up e la E-Stonia si conferma all’avanguardia nel’era 2.0. Centrotrentaduesimo Paese del pianeta per entità territoriale, con una popolazione di appena 1,3 milioni di persone – al pari della sola Copenaghen, per intendersi – l’ex repubblica sovietica rappresenta un raro caso di nazione internettiana, dove l’e-government non è un auspicio, un orizzonte contenuto nei decreti governativi, ma una realtà di fatto.
Nel 2007 Tallin è stata la prima capitale europea a sperimentare il voto on line per le elezioni parlamentari. Carta e marche da bollo sono un lontano ricordo, la firma elettronica è la normalità, perché molti servizi della pubblica amministrazione sono digitalizzati. Grazie alla fibra ottica la rete wireless copre quasi interamente il territorio nazionale. Su queste basi è nato il progetto di una Silicon Valley europea. La maggior parte delle start-up estoni – tra il 60 e il 70 per cento – è infatti impegnata nel campo dell’Ict, in primo luogo nell’elaborazione di software, ma l’obiettivo è quello di allargare il raggio di azione ad altri settori ad alta specializzazione, come le energie rinnovabili e le biotecnologie.
Le start-up nascono spesso nella maniera classica: un gruppo limitato di persone cerca una quantità non ingente di fondi a livello locale – in patria, ma anche in Svezia e Finlandia – per dimostrare la bontà della propria idea. Il passo successivo è volto alla ricerca di capitali sui mercati internazionali, principalmente negli Stati Uniti e in Israele. Costi e tempi per aprire un’impresa, anche grazie al boom dell’informatica, sono inferiori a quelli italiani. Questo spiega perché, secondo il Global Competitiveness Index 2012 del World Economic Forum, l’Estonia si trovi al trentatreesima posto, dieci posizioni sopra l’Italia e davanti a tutti gli altri Stati dell’ex blocco sovietico, compresa quella Polonia che è stato l’unico Paese del Vecchio Continente a non soffrire l’impatto della crisi finanziaria.
La Swedbank ha delocalizzato a Tallin le proprie divisioni di IT Development, dove vengono creati i software per tutte le unità di business del gruppo all’interno del mondo baltico. Ma all’avanguardia di questo sviluppo tecnologico ci sono soprattutto le aziende estoni, come GrabCAD, un social network che coinvolge il dieci per cento degli ingegneri meccanici del pianeta.
Le ragioni di questo successo sono molteplici. Le scuole forniscono agli studenti un’ottima preparazione in fisica e matematica, secondo una tradizione che risale agli anni Ottanta. Antti Vilpponen, amministratore delegato e co-fondatore di ArcticStartup, un sito che sostiene l’imprenditoria regionale, è convinto che i pilastri alla base del boom tecnologico siano tre: la leadership politica, una certa predisposizione mentale e un esempio vincente, rappresentato da Skype.
Il presidente della Repubblica, Toomas Hendrik Ilves, è l’emblema stesso della politica 2.0. Non si separa mai dal suo MacBook Air e dal suo Ipad 2, utilizza costantemente i social network ed è uno dei pochi leader politici europei a scrivere personalmente i propri tweet, come ha confermato qualche settimana fa durante un dibattito con l’economista premio Nobel Paul Krugman.
Dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica, nel 1991, l’Estonia decise di puntare sulla flat tax, un sistema di tassazione non progressivo, di origine friedmaniana, per attirare investimenti e promuovere il boom dell’informatica. Ma la chiave di volta è stato il successo di Skype. La compagnia, infatti, è stata creata dallo svedese Niklas Zennstrom e dal danese Janus Friis, ma il software è stato sviluppato da tre estoni, Ahti Heinla, Priit Kaseslau e Jaan Tallin. «C’è bisogno di una storia di successo locale per la legittimare la creazione di start-up come possibilità di business», sottolinea Taavet Hinrikus, fondatore di TransferWise, un servizio di cambio valute.
Il terzo fattore che spiega le magnifiche sorti dell’Estonia 2.0 è la sensibilità culturale, forgiata nei decenni di dominio sovietico: «L’essere stati oppressi costituisce un elemento fondamentale della nostra psicologia», spiega il presidente Ilves. «Pochi – dice – vogliono mantenere i legami con l’epoca comunista, i più guardano avanti, perché intendono liberarsi dell’eredità passata». Si tratta di un elemento comune agli altri Paesi dell’Est, la cui crescita economica – a prescindere dai singoli casi e dalle specifiche performance – è anche il frutto di questa mentalità. Hinrikus aggiunge un ulteriore elemento: «Durante l’era sovietica non c’era nessuno ad aiutarti, dovevi fare tutto da solo. Così si è creata quell’attitudine a risolvere i problemi autonomamente che è alla base delle start-up». L’esiguità dello spazio estone, poi, ha costituito un incentivo ad aprirsi al mondo, come ricorda Heikki Haldre, amministratore delegato di Fits.me, un servizio per il commercio on line di articoli di moda: «Le dimensioni del nostro mercato ci hanno forzato a creare idee che fossero globali per natura».
Il boom di startu-p non significa necessariamente floridità economica. Perché il sistema si consolidi è necessario compiere un passo ulteriore e creare compagnie strutturate, in grado di competere sui mercati internazionali. L’Estonia resta uno dei Paesi più poveri d’Europa, con un Pil pro capite che supera di poco i 13.000 euro annui – meno della metà della vicina Svezia, per capire – e una disoccupazione alta, 16,8 per cento nel 2010. Tuttavia, considerato il quadro di partenza, le prospettive sono ottime. Tallin si trova ad uno stadio più avanzato rispetto agli altri Stati baltici: la Lituania ha un reddito pro capite di 11.000 euro, la Lettonia non arriva neppure a 10.000. Lo scoppio della bolla speculativo ha condotto a quattro anni di depressione economica, nel solo 2009 il Pil è crollato del quindici per cento, ma i programmi di austerity hanno funzionato e i conti pubblici sono in ordine, tant’è che il primo gennaio 2011 Tallin è entrata a fare parte dell’eurozona. Lo shock finanziario è stato assorbito e il Paese dell’e-taxes, dell’e-voting e dell’e-health guarda con fiducia al futuro. Euro permettendo, s’intende.