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Web Development

La memoria del web rischia di scomparire. I nuovi archeologi digitali

Che forma hanno i ricordi elettronici? Quella di un computer portatile, di un telefonino, di una chiavetta Usb? In quegli oggetti conserviamo tutto quello che ci è consentito conservare, soffrendo di quel minimo di ansia per la fragilità del digitale e dei suoi formati. Rassicura la convinzione che tanto a registrare le nostre cose ci penseranno loro.

Loro sono le grandi piattaforme web che memorizzano quello che scegliamo di affidare loro. Dentro i servizi cloud che usiamo, dai social network agli archivi online, c’è quel pezzo della nostra vita digitale che non abbiamo ancora capito se valga la pena conservare o se vada lasciato in gestione da altri. Un pensiero automatico è che ciò che scriviamo, i siti dove siamo andati, la cronologia dei nostri like fino agli indirizzi dei siti preferiti saranno comunque a disposizione. Facebook con un click ti restituisce tutti i tuoi dati. Il browser di Google si ricorda dove si stato e cosa hai cercato. Il bookmark (qualcuno lo usa ancora?) è sempre lì a disposizione su smartphone e su desktop.

La fiducia che tutto resterà là è il vero atto di fede di questo scorcio di secolo. Del resto, perché diffidare? Facebook non manca un anniversario. È super-proattivo: propone gallery di foto, assembla ricordi, suggerisce amicizie, mescola filmati e persone offrendo comunque, per quanto confuso, un servizio che parla di te. Google dà sempre la sensazione di avere tutto sotto controllo, di potere connettere e integrare la posta elettronica, le foto, i documenti di testo perfino le infografiche interattive. Non suggerisce ma conserva. E poi c’è il motore di ricerca. Per ricercare pezzi di noi o di cose che abbiamo visto non c’è niente di meglio che usare una stringa di testo e premere un bottone.

Quello che manca è una visione di insieme. Non è stato ancora inventato un ordinatore di identità, un album davvero intelligente in grado di unire i puntini, di prendere da piattaforme diverse e articolare una forma di ricordo nuovo, interoperabile, trasversale e davvero intelligente.

Paradossalmente più che tecnologico e commerciale l’ostacolo è generazionale. I social al massimo possono coprire la vita dei Millenials. Fa male scriverlo, ma chi è un po’ più vecchio ha ricordi che non si limitano ai big del web.

Per fortuna per ricordare per davvero cosa era internet prima dell’era delle entità sovranazionali private il consiglio è quello di visitare archive.org. Roba da archeologi digitali. E da ex analogici.

Nata nel 1996 come associazione non-profit per preservare a futura memoria una copia di internet, in realtà è anche uno straordinario collettore di documenti multimediali. Si possono parcheggiare e condividere podcast, video, audio. Tutto quello che non ha copyright trova casa qui. Anche straordinari film in bianco e nero della Hollywood anni Trenta.

Considera Geocities, per esempio. Per chi se lo ricorda era un posto sul web dove potevi creare una tua pagina web, accendere luci, caricare file Midi e dire cose. Fondato nel 1994 è diventato tre anni dopo il quinto sito più visitato di internet. Viene acquistato durante la bolla delle dot.co da Yahoo! per tre miliardi e mezzo di dollari. E viene chiuso nel 2009. Milioni di utenti e di pagine e di piccole città digitali che racontavano il web degli anni Novanta. Richard Vijgen ha realizzato una dataviz organizzando 650 Gigabytes di dati del Geocities del 2009. Il backup è di Archive Team e risale all’ottobre del 2009. Là dentro (per navigarlo andate su Infodata) c’erano vite digitali un po’ raffazionate, poco ordinate ma straordinariamente creative. Non c’erano bottoni per i dati, nè servizi che ti mettevano in ordine le foto. C’erano smanettoni in cerca di un senso di fronte a una cosa nuova e grandissima chiamata internet. Quel web, pioniere e disordinato, un po’ stropicciato ma autentico oggi non c’è più. Ed è un bene tutto sommato. Anzi, è natuale.

Ecco perché i luoghi come archive.org sono preziosi. Attaccapanni di ricordi che altrimenti andrebbero perduti. In questi database (naturalmente non c’è solo archive.org) sparsi per il web non c’è nè ordine e neppure intelligenza C’è solo il senso di emergenza di un pezzo di internet che potrebbe sparire.

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